Andreas Resch: Nimatullah Giuseppe Kassab Al-Hardini

NIMATULLAH GIUSEPPE KASSAB AL-HARDINI
(1808-1858)

SACERDOTE PROFESSO
DELL’ORDINE LIBANESE MARONITA

Beato: 10 maggio 1998
Santo: 16 maggio 2004
Festa: 14 dicembre

NIMATULLA GIUSEPPE KASSAB AL-HARDINI nacque nel 1808 a Hardini, villaggio maronita della montagna libanese, nel nord del Libano. Al bat­tessimo, il medesimo anno, ricevette il nome di Youssef (Giuseppe). Il suo nome completo è Nimatullah Kassab Al-Hardini; Kassab è il nome di famiglia; Hardini è il nome del villaggio natale, da dove il suo nome di origine Al-Hardini. Nimatullah è il suo nome di religione.
La famiglia Kassab era molto nota in Libano per l’attaccamento dei suoi membri alla fede della Chiesa maronita. Ciò creò in seno a questa famiglia un clima favorevole per le vocazioni religiose. Giuseppe trascorse perciò nell’am­bito della famiglia di sei figli, quattro maschi e due femmine, un’infanzia tran­quilla. Il padre, Girgis Kassab di Hardini, e sua madre, Mariam Raad di Tan­nourin, educarono il loro figli ad una viva devozione verso Dio e la Chiesa.
I quattro maschi scelsero la vita monastica o sacerdotale. Tanios divenne parroco; Eliseo entrò nell’Ordine Libanese Maronita, nel quale restò come eremita per 44 anni; Msihieh abbracciò la vita claustrale nel monastero di S. Giovanni Battista di Hrasch. Una delle due sorelle era entrata nel monastero di Saint Jean de Hrache, nel Kesruane, nel Libano centrale, e Giuseppe entrò infine nell’Ordine Libanese Maronita.
Durante la sua infanzia, Giuseppe aveva fatto conoscenza con i monaci libanesi maroniti nel monastero di S. Antonio di Houb, dove fece i suoi primi studi. Le scuole, a quel tempo, si trovavano soprattutto in montagna, nei mo­nasteri. Per imparare a leggere e scrivere, bisognava rivolgersi al monastero, che non era facile per diverse ragioni, se non altro per la distanza che bisognava percorrere a piedi. Il giovane Giuseppe doveva recarsi ogni giorno da Hardini al monastero di Houb, situato a Tannourin, a circa un’ora di cammino, dove apprese i rudimenti delle due lingue utilizzate in quel tempo: l’arabo e il siriano.

Dopo gli studi compiuti nel monastero tornò presso il nonno materno, Youssef Raad, parroco del villaggio di Tannourin. L’esempio del nonno suscitò nel suo cuore l’amore per il sacerdozio, vissuto per il bene di tutta la Chiesa. A Tannourin recitava l’Ufficio divino nel monastero con i monaci, e in parrocchia con suo nonno ed i fedeli. Giuseppe si sentì ben presto attratto dalla vita religiosa e, all’età di vent’anni, nel 1828, entrò come novizio nel monastero di S. Antonio di Qozhaya, nel Libano settentrionale, prendendo il nome di Nimatullah.
Questo monastero era famoso per i prodigi straordinari che vi si verifica­vano, soprattutto per le guarigioni ottenute per i malati di mente che vi si recavano e che vi si facevano incatenare per un periodo piü o meno lungo, e per il dono di figli ottenuto per intercessione di sant’Antonio, al quale era dedicato il monastero, che nel 1610 ospitò la prima stamperia conosciuta in Oriente.
Inoltre, questo monastero è stato sempre considerato il più prospero fra quelli dell’Ordine Libanese Maronita, sia per la vitalità e la profondità della vita spirituale che vi si conduceva, sia per la prosperità materiale che gli consentiva di sostenere altri monasteri poco stabili dal punto di vista economico. Tutto ciò scaturiva dall’attività dei monaci, che sapevano unire la preghiera e la medita­zione al lavoro manuale e all’esercizio di mestieri, come quello del sarto, del calzolaio, del rilegatore, dell’apicoltore e del coltivatore di agrumi. Fu in questo convento che san Charbel Makhlouf, discepolo di Nimatullah e suo predeces­sore nel cammino della santità, apprese la tanto difficile arte di diventare santi.
Al noviziato egli s’iniziò alla preghiera comunitaria e al lavoro manuale; trascorreva ore di preghiera davanti al santissimo Sacramento. Lo trovavano in chiesa, inginocchiato, le mani levate, gli occhi fissi al Tabernacolo, immobile.

Dopo la professione monastica, il 14 novembre 1830, fu inviato al mona­stero dei SS. Cipriano e Giustina, a Kfifane, per studiare filosofia e teologia; partecipava contemporaneamente alla recita dell’Ufficio nel coro, lavorava nei campi e rilegava i libri. Era conosciuto per l’abilità nel rilegare i manoscritti ed i libri, un mestiere che aveva imparato durante il noviziato. Ammalatosi, per evitargli la fatica enorme del lavoro nei campi, il superiore lo destinò al guarda­roba, e così Nimatullah divenne il sarto della comunità. Terminati gli studi e ordinato sacerdote il 25 dicembre 1833, divenne direttore dello Scolasticato e professore fino ai suoi ultimi anni. Poiché era stato insegnante dei fanciulli del luogo durante lo studio, anche da sacerdote gli fu affidato tale insegnamento. Per istruire gratuitamente la gioventù, fondò a Kfifane, e più tardi anche a Bhersaf, la « Scuola sotto la quercia », chiamata così secondo la tradizione.

Durante le due guerre civili fra Drusi e Maroniti del 1840 e del 1845, che preparavano i sangui­nosi avvenimenti del 1860, quando molti monasteri furono distrutti e molti cristiani maroniti massacrati, Nimatullah lanciò il suo straordinario motto: « Il più bravo è colui che può salvare la sua anima », motto che non cessava di ripetere ai suoi confratelli, perché si era offerto in olocausto per il Libano e il suo Ordine.
In questa situazione civile e religiosa, carica di difficoltà, suo fratello Eliseo, eremita, lo invitò a lasciare la vita comunitaria per ritirarsi in un eremo. Ma Nimatullah gli disse: « Quelli che lottano per la virtù nella vita comunitaria avranno il merito maggiore ». Fu radicale nelle sue scelte, ma misericordioso e indulgente verso i suoi confratelli. Gli vengono attribuite queste parole: « La prima preoccupazione di un monaco deve essere, giorno e notte, di non ferire o affliggere i suoi confratelli ».

Nelle sue afflizioni chiedeva l’intercessione della Vergine Maria; incoraggia­va anche i fedeli a venerarla, costituendo delle confraternite. Fondò anche 16 altari consacrati alla Madre di Dio; l’immagine di uno di questi altari, nel mona­stero di Kfifane, fu chiamata, dopo la sua morte, « Nostra Signora di Hardini ».
All’età di 43 anni, nel 1845, fu nominato dalla Santa Sede Assistente Ge­nerale dell’Ordine, con un mandato di tre anni, per il suo zelo nell’osservanza irreprensibile delle regole monastiche. Come Assistente Generale chiese al Superiore Generale d’inviare i monaci per approfondire i loro studi nel nuovo collegio dei Gesuiti fondato a Ghazir. Vi furono inviati sette monaci per assi­curare la continuità di un insegnamento approfondito nello Scolasticato del­l’Ordine.

Negli anni 1848 / 49 egli trascorse la sua vita nei monasteri di S. Marone d’Annaya e di S. Antonio di Houb. Nel 1850 fu nominato Assistente Generale una seconda volta, e nel 1853 tornò di nuovo a Kfifane per insegnare la teologia morale. Nel 1856, per la terza volta, fu nominato Assistente Generale. Accettò per ubbidienza, ma rifiutò nella maniera più assoluta d’essere nominato Abate Generale dell’Ordine. Diceva: « Piuttosto la morte, che essere nominato Supe­riore Generale ».

Nell’esercizio della sua carica di Assistente Generale si mantenne dolce nelle parole e nel modo di agire. Ebbe la sua residenza con gli altri assistenti presso il Padre Generale nel monastero di Nostra Signora di Tamich, la casa generalizia dell’Ordine, ma non smise di recarsi al monastero di Kfifane, sia per l’insegnamento, sia per il suo lavoro di rilegatura dei libri, eseguito in spirito di povertà, con speciale attenzione per i manoscritti liturgici. Si conserva ancora una testimonianza della sua attività nel breviario siriano di cui si serviva e che aveva rilegato egli stesso.

Quanto alla sua attivitä di professore, si può ricordare che ebbe fra i suoi allievi San Charbel Makhlouf, che visse nello Scolasticato dal 1853 al 1859 ed assistette alla morte del suo maestro ed alla commovente cerimonia del suo ufficio funebre.

Nel mese di dicembre 1858 Nimatullah si trovava al monastero di Kfifane per insegnare, quando fu colpito da una polmonite causata dal freddo glaciale dell’inverno di quella regione. La sua malattia andò aggravandosi di giorno in giorno, ed egli chiese ad uno dei monaci di trasportarlo in una cella vicino alla chiesa per sentire il canto dell’Ufficio. Dopo dieci giorni d’agonia, ricevette l’Estrema Unzione, tenendo l’icona della Vergine Maria fra le mani e invocan­doLa: « O Maria, vi affido la mia anima ». Morì il 14 dicembre 1858, all’età di 50 anni. I suoi confratelli notarono una luce splendente nella sua cella, e un profumo che la riempì per qualche giorno. Suo corpo rimase incorrotto e riposa nel monastero di S. Cipriano e Giustina a Kfifane, Libano.

Il 10 maggio 1998, Nimatullah Giuseppe Kassab Al-Hardini è stato pro­clamato Beato da Papa Giovanni Paolo II che poi, il 16 maggio 2004, lo ha proclamato Santo.