ISIDORO BAKANJA
(1885/1890-1909)
MARTIRE AFRICANO
Beato: 24 aprile 1994
Festa: 12 agosto
ISIDORO BAKANJA nacque a Bokendela-Bekalaka o nel paese vicino Ikengo (il luogo di nascita e controverso) nel nordest dello Zaire (allora Congo Belga) tra gli anni 1885 e 1890. Della sua infanzia e gioventù non abbiamo delle informazioni, perché nacque in un paese, dove fino alla fine dell’Ottocento non esistevano registri delle nascite. Il primo documento che parla di lui e il registro in cui è segnato il suo battesimo. Suo padre, agricoltore del villaggio di Bokendela, si chiamava Yonzwa e sua madre Inyuka, proveniente da un villaggio di pescatori. Essi avevano quattro figli, tre ragazzi e una ragazza. Isidoro si formò quindi fra la tradizione agricola e quella della popolazione del fiume.
Nei primi anni del novecento Isidoro andò a stabilirsi a Coquilhatville (odierna Mbandaka), dove lavorò come aiutante muratore presso una ditta statale belga. Non lontano dal suo posto di lavoro, a Boloko wa Nsimba, i Trappisti dall’Abbazia di Westmalle in Belgio avevano aperto una missione nel 1902. Isidoro venne allora a contatto con dei cristiani e si iscrisse al catecumenato. L’insegnamento dei Trappisti diede grande importanza alla testimonianza e alla fedeltà: un seguace di Gesù si caratterizza per la preghiera e per la testimonianza. Deve venir riconosciuto dal suo rosario e dallo scapolare (l’abito di Maria, come era detto nella lingua materna di Isidoro. Dio e il nostro padre, e Maria e nostra madre che ha dimostrato tante volte che protegge i suoi figli.
Questi insegnamenti dei Trappisti Isidoro li abbracciò subito con vera fede, ricevendo, il 6 maggio 1906, il battesimo ed il nuovo nome di Isidoro a Boloko wa Nsimba, dove risiedevano i due missionari trappisti Gregorio Van Duen e Roberto Brepoels. Suo padrino fu Bonifazio Bankutu, uno dei primi catechisti del Congo, che scelse per lui il nome cristiano di Isidoro. In quest’occasione gli furono consegnati uno scapolare e il rosario come simboli distintivi usati dai cristiani in quella regione dell’Africa Equatoriale. Il 25 novembre 1906 ricevette la Cresima e 1’8 agosto 1907 fu ammesso alla Prima Comunione.
Isidoro fu un uomo mite, onesto, rispettoso degli altri per natura, un lavoratore coscienzioso che portò con orgoglio sin dal battesimo lo scapolare di Nostra Signora del Monte Carmelo come segno della nuova appartenenza. Spesso si trovava col rosario in mano e cercava di cogliere le occasioni per condividere la sua nuova fede con altri, tanto che molti lo consideravano un catechista.
Giunto a termine il suo contratto, tornò per qualche tempo al suo paese per costruire una casa, ma non rimase a lungo perché non trovava altri seguaci di Cristo e inoltre c’era poco lavoro. Si decise allora di contattare suo cugino Camillo Boya che lavorava come carpentiere per la ditta SAB (Società Anonima Belga) a Busira, che aveva allora il monopolio del commercio dell’avorio e del caucciù in un vasto territorio del Congo. Poco dopo venne assunto dalla medesima società quale domestico di uno dei dirigenti bianchi, Reijnders, che venne inviato alla fattoria di Bus-Bloc a Ikili come aiutante di Van Cauter, responsabile di zona, chiamato anche Longange.
A nulla valsero i tentativi di dissuasione del padre e del fedele amico Antonio Boyoto che conoscevano le condizioni di vita presso le società bianche. Isidoro, in piena fiducia nel prossimo, pensava che i bianchi, che si chiamavano cristiani, avrebbero condiviso con lui l’amore e la benevolenza della religione cristiana. La realtà era invece totalmente diversa. Isidoro era l’unico cristiano presente nella SAB e il sistema della società era basato su un brutale sfruttamento. Molti degli agenti commerciali erano atei accaniti e odiavano i missionari perché questi difendevano i diritti degli indigeni e denunciavano le ingiustizie perpetrate contro di essi. «Mon pere » era il termine peggiorativo con cui si designavano i sacerdoti e tutto ciò che sapeva di religione. Così Isidoro sperimentò ben presto l’ostilità di un ambiente agnostico in fatto di religione, specie da parte del capo, Van Cauter, il quale dichiarava apertamente il suo odio verso la religione cattolica, che accusava di far perdere agli europei tutta la loro autorità di fronte al personale di colore dipendente dall’azienda. Vittima di tanto odio anticattolico fu proprio Isidoro, perché visse pienamente l’unità fra esteriorità e interioriti della fede, portando con fierezza e convinzione i simboli della sua cattolicità. Rendendosi conto però dell’odio implacabile che i suoi padroni portavano alla religione cattolica, chiese di essere licenziato. Gli fu negato, proprio perché era noto fra i suoi compagni come ragazzo fedele responsabile e, quindi, poteva essere per loro un esempio stimolante. Intanto gli si ordinava di cessare dall’insegnamento agli altri lavoratori a pregare. Un agente lo sgridò dicendo: « tutto il villaggio vorrà pregare e nessuno vorrà lavorare ».
Dopo vari ordini di togliere lo scapolare dati ad Isidoro senza successo, la sua resistenza silenziosa finì per esasperare Van Cautier, che non tollerava affatto i simboli esteriori della fede del giovane domestico: «Niente da fare con questi „cani“ cristiani: essi minano l’autorità dei Bianchi. Se questo tizio resta qui ancora per molto, tutto il personale, ragazzi di casa ed operai, e persino gli stessi abitanti del villaggio, si metteranno a pregare! Nessuno vorrà più lavorare da me ».
Di conseguenza, l’unica vera ragione per cui Van Cauter fece sfruttare Bakanja fu perché era cristiano ed insegnava la religione e la preghiera agli altri. Bakanja stesso lo conferma: « Io sono cristiano e non inganno nessuno. Ecco la pura verità: il bianco mi ha percosso perché sono cristiano! Non voleva battezzati presso di se… ed io sono cristiano (…). Se vedi mia madre, se vai dal giudice o se incontri il Padre, di loro che sto morendo perché sono cristiano ».
Poiché si era rifiutato di gettare via il suo scapolare, venne flagellato due volte. La seconda volta successe così: al rifiuto deciso di Isidoro Van Cauter si infuriò, si gettò contro di lui, gli strappò dal collo lo scapolare e lo butto per terra. Quindi comandò a due servi di tenere per i piedi e le mani Isidoro steso per terra, mentre un terzo lo flagellava. Il flagello era fatto di pelle d’elefante ed aveva delle punte sporgenti. Isodoro contorcendosi chiedeva misericordia. «Mio Dio, sto morendo », sussurrò. Ma Van Cauter continuava a calpestarlo e a dargli calci sul collo e in testa, mentre comandava al suo domestico di flagellarlo più fortemente. Dopo la flagellazione venne buttato, con i piedi legati, in una capanna, dove si affumicava il caucciù. Non poteva muoversi per alleviarsi. Ivi restò per tre giorni, finche due suoi compagni, fra cui il fedele Iyongo Mputu, cuoco di Van Cauter, riuscirono a farlo fuggire nella palude. Lì rimase tra atroci sofferenze per le profonde piaghe nella schiena. Non potendo camminare, cadde per via e si nascose nella foresta fino al 6 febbraio 1909, quando venne visto dal tedesco W. T. Dörpinhaus, ispettore delle piantagioni della SAB: « Vidi uscire dalla foresta un uomo con il dorso scavato da pieghe profonde, purulente e fetide, coperte di sporcizia, assalite dalle mosche; si appoggiava su due bastoni per avvicinarsi a me; non camminava, ma si trascinava ». Van Cauter accorse sulla scena e tentò di uccidere « quell’animale di mon pere », ma l’ispettore glielo impedì e fece trasportare Isidoro alla sua colonia, sperando di poterlo guarire. Però questi sentì la morte pervadere tutto il suo corpo. A una persona che mostrava pietà nei suoi confronti, disse: «Se vedi mia madre, se vai dal giudice o se incontri il sacerdote, di‘ loro che sto morendo perché sono cristiano ».
4 giugno Isidoro venne trasferito a Busira presso il cugino Camillo Boya, ma le sue condizioni andarono rapidamente peggiorando. Al Confessore, missionario trappista. padre Dubruille, che lo invitava a perdonare l’agente, rispose: « Padre, io non ce l’ho con lui. Quel bianco mi ha fatto frustare, beh, sono affari suoi, deve sapere quello che fa. Certo, in cielo pregherò per lui ». Van Cauter venne condannato ad alcuni anni di carcere. Isidoro, il 15 agosto 1909, nonostante la quasi totale impossibilità di muoversi, si unì ai catecumeni di Busira per pregare, poi si ritirò nella piantagione di banani dove, mentre era in raccoglimento, lo colse la morte. Bakanja venne sepolto con un nuovo scapolare ai bordi della piantagione e subito si notarono i frutti del suo martirio. Nei mesi successivi si registrarono più di quattromila battesimi nella sua regione di Busira.
Il 25 giugno 1917, le sue spoglie vennero trasferite alla Missione di Bokoto, nel Congo.
Il 24 aprile 1994, Isidoro Bakanja è stato proclamato Beato da Papa Giovanni Paolo II.