Andreas Resch: Gianna Beretta Molla

GIANNA BERETTA MOLLA
(1922-1962)

MEDICO E MADRE DI FAMIGLIA

Beata: 24 aprile 1994
Santa: 16 maggio 2004
Festa: 28 aprile

GIANNA BERETA MOLLA nacque a Magenta (Milano), il 4 ottobre 1922, da Alberto Beretta e Maria De Micheli, decima di 13 figli, dei quali 5 morirono in tenera età e due diventarono sacerdoti. Al battesimo, l’11 ottobre successivo, le furono imposti i nomi di Giovanna Francesca; comunemente era chiamata Gianna. Già nella prima giovinezza ricevette dai genitori un’ottima educazione cristiana. Essi la portarono a considerare la vita come un dono meraviglioso di Dio, ad avere fiducia nella Provvidenza, ad essere certa della necessità e dell’efficacia della preghiera.

Nel 1925 la famiglia Beretta si trasferì a Milano e successivamente a Ber­gamo per motivi di lavoro del capofamiglia. A Bergamo, Gianna, all’età di cinque anni e mezzo, ricevette la Prima Comunione e frequentò le scuole elementari. Frequentò dalla prima fino alla quarta il ginnasio pubblico « Paolo Sarpi ». Nel 1937, poiché il padre aveva contratto un’anemia perniciosa, tutta la famiglia si trasferì a Genova-Albaro, dove Gianna frequentò la quinta ginnasiale presso le Suore Dorotee di Quinto. Poi, a causa della salute, sospese gli studi per un anno. Dopo il bombardamento di Genova, nell’estate 1941, gli altri familiari ritornarono a Bergamo, mentre Gianna e la sorella Virginia restarono a Genova per finire il corso liceale (1939 – 1942). Nel frattempo morirono i suoi genitori, il 29 aprile 1942 la madre e il 10 settembre successivo il padre.

La morte di ambedue i genitori spinse i Beretta a ritornare a Magenta, loro luogo di origine. Gianna si iscrisse, nello stesso autunno, alla facoltà di Medicina dell’Università di Milano, seguendo i fratelli maggiori, Ferdinando ed Enrico, poi missionario cappuccino con il nome di padre Alberto. Mentre si dedicava con diligenza agli studi, traduceva, come già negli anni del liceo, la sua fede in un impegno generoso di apostolato tra le giovani di Azione Cattolica e di carità verso gli anziani e i bisognosi nelle conferenze di San Vincenzo. Nello stesso tempo visse intensamente la sua vita spirituale con la Messa, la Comunione e la meditazione quotidiana, come c’informa sua sorella Virginia:

« Sia nei periodi di esame che nel periodo normale di Università, alternava lo studio con la preghiera. Abbiamo preparato insieme l’esame di Patologia Medica e posso dire che al mattino appena levata faceva due ore di studio; poi andava in chiesa, ascoltava la Messa, faceva la Comunione e dieci minuti di Meditazione, poi tornava a studiare fino a mezzogiorno. Nel pomeriggio, quan­do eravamo stanche di studiare, verso le quattro e mezza (press’a poco) anda­vamo dalle Canossiane e stavamo fuori un’oretta tra la visita in chiesa e i colloqui con le Madri responsabili dell’Oratorio, poi ritornavamo allo studio fino all’ora di cena. Dopo la cena si diceva il Rosario e, se ce la facevamo, studiavamo ancora un po’ ».

Giovanna concluse gli studi universitari il 30 novembre 1949 con la laurea in Medicina ed in Chirurgia conseguita all’Università di Pavia.
La pratica ospedaliera la fece presso l’ospedale di Magenta e anche presso la Clinica Ostetrica Mangiagalli di Milano, perché aveva intenzione di andare in Missione, già specializzata in questo campo. Il 27 gennaio del 1950 ottenne il certificato di abilitazione provvisoria all’esercizio di questa professione e s’iscrisse all’Albo professionale dell’Ordine dei Medici di Milano e provincia.
Nel giugno 1950 aprì un ambulatorio medico a Mesero (un comune del Magentino) e il 7 luglio 1952 conseguì la specializzazione in Pediatria all’Uni­versità di Milano, con pieni voti come alla laurea. Predilesse, tra i suoi assistiti, mamme, bambini, anziani e poveri, descrivendo la sua visione di medico con queste parole:
« Tutti nel mondo lavoriamo in qualche modo a servizio degli uomini. Noi direttamente lavoriamo sull’uomo. Il nostro oggetto di scienza e lavoro è l’uo­mo, che dinnanzi a noi ci dice di se stesso, e ci dice « aiutami » e aspetta da noi la pienezza della sua esistenza. Gesù ci direbbe chi è l’uomo. Non è solo corpo: in quel corpo c’è un pensiero, una volontà, che è capace di andare incontro alla sofferenza, ad altri no. C’è nel corpo uno spirito e, come tale, immortale. C’è un abisso tra corpo e anima, sono due entitá così diverse, ma si trovano unite. Cosa vi direbbe Gesù? Dovete mettere ogni cura su questo corpo. Dio ha così innestato il divino nell’umano che tutto ciò che facciamo assume maggior valore. Oggi c’è purtroppo superficialità anche nel nostro lavoro. Noi curiamo i corpi, ma molte volte senza competenza. 1) Fare bene la nostra parte. Studia bene la tua scienza. C’è oggi una corsa al denaro. 2) Siamo onesti. Essere medici di fede. 3) Abbiate una cura affettuosa pensando che sono nostri fratelli. Avere quella delicatezza. 4) Non scordare l’anima dell’ammalato. E allora noi che abbiamo diritto a certe confidenze, attenti a non profanarne l’anima. Sarebbe un tradimento ».

Sentiva e praticava l’opera di medico, così, come una « missione ». Intanto, accresceva anche il suo impegno generoso nell’Azione Cattolica, prodigandosi per le « giovanissime », e, nello stesso tempo, esprimeva con gli sci e l’alpinismo la sua grande gioia di vivere e di godersi l’incanto del creato.
Si mise inoltre a frequentare la Clinica Mangiagalli di Milano per specializ­zarsi in ostetricia e ginecologia. Nello stesso tempo s’interrogava sulla sua vocazione, che considerava anch’essa un dono di Dio. In un primo tempo pensò di raggiungere in Brasile il fratello medico e cappuccino, padre Alberto, per coadiuvarlo nel suo ospedale, ma il suo direttore spirituale la voleva sposa dell’ing. Pietro Molla. Si sposò il 24 settembre 1955 nella basilica di San Martino in Magenta e fu moglie felice. « Quando penso al nostro grande amore reci­proco, non faccio che ringraziare il Signore. È proprio vero che l’Amore è il sentimento più bello che il Signore ha posto nell’animo degli uomini. E noi ci vorremo sempre bene, come ora, Pietro ».

Nel novembre 1956 fu mamma di Pierluigi, nel dicembre 1957 di Mariolina; nel luglio 1959 di Laura. Seppe armonizzare con semplicità ed equilibrio i doveri di madre, di moglie, di medico, e la gran gioia di vivere.
Dopo altre due maternità andate a vuoto Gianna ebbe un’altra gravidanza. Nel settembre 1961, verso il termine del secondo mese di gravidanza, fu rag­giunta dalla sofferenza. Insorse un fibroma all’utero e il medico le disse: « Se vogliamo mettere al sicuro la tua vita, dobbiamo interrompere la gravidanza! » Lei rispose: « Professore, non lo permetterò mai! » Il professore Vitali, di reli­gione ebraica, disse con ammirazione: « Questa sì che è una mamma veramente cristiana! »

Prima del necessario intervento operatorio, pur sapendo il rischio che avrebbe comportato il continuare la gravidanza, supplicò il chirurgo di salvare la vita che portava in grembo e si affidò alla preghiera e alla Provvidenza. La vita fu salvata, ringraziò il Signore e trascorse i sette mesi che la separavano dal parto con impareggiabile forza d’animo e con immutato impegno di madre e di medico. Temeva che la creatura in seno potesse nascere sofferente e chiese a Dio che ciò non avvenisse. Alcuni giorni prima del parto, pur confidando sempre nella Provvidenza, fu pronta a donare la sua vita per salvare quella della sua creatura: « Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete – e lo esigo – il bimbo. Salvate lui ».

Il mattino del 21 aprile 1962 diede alla luce Gianna Emanuela. Ma per lei, dopo qualche ora, iniziava una lunga agonia che durò otto giorni malgrado tutti gli sforzi e le cure per salvare entrambe le vite. Vedendo che non c’era più nulla da fare, chiese di essere portata a casa a morire nel suo letto di sposa. La notte del sabato in Albis fu portata a casa. Nel trambusto i bambini si svegliarono nella stanza accanto e lei ne sentì la voce per l’ultima volta, amando nella misura dell’amore più grande, predicato e praticato da Gesù: non c’è amore più grande di quello di chi dona la vita per la persona amata.

Il mattino del 28 aprile 1962, dopo avere ripetuto la giaculatoria « Gesù ti amo, Gesù ti amo », morì santamente a Magenta. Aveva 39 anni.

I suoi funerali furono una grande manifestazione unanime di commozione profonda, di fede e di preghiera. I suoi resti mortali riposano tuttora nella Cappella della famiglia Molla, a sinistra dell’ingresso nel Camposanto di Mesoro.

Il 24 aprile 1994, Gianna Beretta Molla è stata beatificata da Papa Giovanni Paolo II, che poi, il 16 maggio 2004, l’ha proclamata Santa.